Copyright photo: Vogue April 1954. Art print by John Sadovy
Cosa significa vintage?
Non tutti sanno che la parola vintage deriva da francese e la sua origine d’appartenenza era il settore enologico. Questo termine era usato per riferirsi ai vini di maggior pregio, i cosiddetti vini d’annata, in quanto di alta qualità. Pian piano questo termine venne preso in prestito dal settore della moda e fu utilizzato con la stessa accezione d’origine, per riferirsi ai capi d’abbigliamento di altissima qualità, per la selezione dei tessuti più pregiati e della maestria del confezionamento dei capi. Con il passare del tempo il termine perse valore nel settore d’origine, diventando proprietà esclusiva del settore della moda, con il tempo la parola, si diffuse a macchia d’olio anche in altri settori (musica, automobili, giochi ecc…), per indicare oggetti provenienti dal passato con determinate caratteristiche di pregio.
Quando si parla di vintage, non si parla di vecchio, il vintage è vintage; un elogio nostalgico di un tempo passato, un’esaltazione di valori e tradizioni che appartengo a una determinata cultura. Il vintage statunitense, non potrà mai essere il vintage italiano, in quanto il vissuto storico e il background culturale, vivono in due dimensioni opposte, fatte di sfumature e di colori che appartengono al territorio di appartenenza. Ma soprattutto, non tutto ciò che viene dal passato si può e si deve considerare vintage. Il vintage ha un determinato vademecum e delle regole ben precise. Tornando al settore della moda, se pensiamo al nostro presente, tutti i capi d’abbigliamento sono fatti su scala industriale, probabilmente sono progettati per durare pochissimi anni, per farci tornare in breve tempo ad acquistare altri capi che di originale hanno bene poco, vista la quantità di modelli tutti uguali che si produco. Fermiamoci un attimo e pensiamo cosa accadeva in passato; i capi d’abbigliamento che venivano realizzati un tempo, erano confezionati in modo da durare anche per decenni, spesso e soprattutto nelle famiglie più modeste, quegli stessi abiti si passavano da un componente della famiglia ad un altro. All’epoca a causa del difficile periodo economico dovuto dalle guerre e carestie, si tendeva a selezionare con estrema cura le materie prime per realizzare gli abiti. Da qui possiamo ben capire il fascino di questi capi d’abbigliamento di un tempo passato, capaci di resistere all’usura e arrivare al nostro presente. Sono oggetti unici e irripetibili, difficilmente realizzabili perché fatti a mano e che al loro interno racchiudono in sé la storia, tutto questo li rende desiderabili. Oggi i nostri armadi sono pieni di una gran quantità di abiti scuri, semplici, uniformi e tristi, ma con un accessorio vintage abbiamo la possibilità di rendere il nostro outfit unico e attraverso lo stile possiamo permetterci di uscire dall’omologazione di una società che ci vuole tutti uguali. Il vintage oggi viene inteso in questo senso, uscire dagli schemi, sentendosi unici con addosso un capo che ha una storia. Per definire il vintage bastano solo tre parole chiave: irripetibilità, irriproducibilità e desiderabilità.
La sua storia si deve a Andy Warhol ma anche a tutte quelle generazioni di giovani ce decennio dopo decennio hanno fatto sicché la storia del ‘900 (per ideologie, costume, movimenti politici e sociali), sia stata tra le più piene e affascinanti di sempre. Su questo argomento organizzo corsi di formazione dedicati, di cui il prossimo in programma si svolgerà online il 19 dicembre 2020 “Corso di Storia e costume della moda vintage”.
Ma se vuoi saperne di più, non perdere il mio nuovo libro “Vintage: Storia di un’Italia che cambia”. Se vuoi acquistarlo, lo troverai in tutte le librerie (su prenotazione) e nelle librerie online, oppure scrivendo direttamente a me: info@alessiamelzer.it