Da consulente d’immagine ho sempre battuto il chiodo su questo argomento, ovvero che molti pensano che i vestiti o solo semplicemente parlare di vestiti, sia considerato frivolo, banale, superficiale. Eppure ogni giorno donne e uomini, passano ore nel decidere cosa indossare e spesso si lasciano guidare dall’umore. Anche chi dice di vestirsi con la prima cosa che prende nell’armadio, ad occhi chiusi e che si ritiene del tutto disinteressato ai massimi sistemi della moda e quello che gira intorno, quando ha acquistato quei vestiti, ha scelto proprio quelli per adattarli ad un suo stile, magari lo ha fatto inconsciamente. Come dire: chi dice di non seguire la moda, in realtà la segue!
Quando si parla di stile personale, ci si riferisce alla propria personalità, spesso si pensa sia un qualcosa di nascosto, ma in realtà è visibile anche quando stiamo in silenzio, perché comunichiamo attraverso il linguaggio non verbale e l’abbigliamento fa parte di questa forma di comunicazione. Secondo studi empirici, il nostro stile (l’abbigliamento che scegliamo di indossare ogni giorno), riflette l’immagine mentale che abbiamo costruito di noi. Ci sono individui che curano con attenzione il proprio corpo (e non è detto che sia un bene, ne parlerò in un altro blog-post) e altri invece che lo trascurano. Ma curato o meno il corpo è li e sin dai tempi ancestrali, il corpo è sempre stato oggetto di desiderio sessuale e, sin dalla notte dei tempi l’opinione altrui sulla nostra immagine corporea ha avuto e ha tutt’ora una certa importanza. Per questo motivo, il corpo è stato spesso oggettificato, in parole povere usato come strumento di piacere. Il concetto di oggettivazione è stato preso da Kant prima e dalla psicologia poi con Fredrikson e Roberts con la “Teoria dell’oggettivazione”.
Molte ricerche in campo delle neuroscienze dimostrano come l’abito che scegliamo di indossare è tutt’altro che frivolo, anzi c’è una forte relazione tra come percepiamo il nostro corpo e ciò che indossiamo. Ma l’immagine mentale che costruiamo dipende da diversi fattori: percezione corporea del soggetto, dell’ambiente sociale e dei beni materiali posseduti.
Il concetto dell’oggettivazione, oggi molto presente, ovvero il vedere il corpo come un oggetto è la prima conseguenza del tanto discusso body-shaming: vergona del proprio corpo. La cultura contemporanea ha interiorizzato l’oggettivazione, cioè il concetto di vedere il corpo come uno strumento, un oggetto. La prima conseguenza concreta di questa tendenza è il tanto discusso body-shaming: la vergogna del proprio corpo, giudicato e criticato costantemente dagli altri e di conseguenza da sé stessi.
Una delle domande che faccio sempre durante le consulenze d’immagine è: “Se dovessi aprire il tuo armadio che percentuale di colore e che tipologia di abbigliamento vedrei?”
Tendenzialmente nel nostro armadio in una buona e altissima percentuale si trovano abiti scuri, il nero va per la maggiore (per il camouflage), capi che ci tendono al sicuro, comodi e magari qualcuno alla moda. La taglie è importante e anche la biancheria intima tecnica per modellare il corpo ci aiuta a dare percezione delle nostre forme. La nostra immagine mentale, o per meglio dire l’accettazione di noi stessi, dovrebbe essere un qualcosa che riguarda solo noi e non dovremo rendere partecipi gli altri. Spesso e soprattutto le persone più insicure si accettano perché sono state prima accettato dagli altri. Una donna che si veste con abiti provocanti e con trucco marcato o un uomo che veste alla moda e vuole apparire il classico “uomo che non deve chiedere mai”, in realtà quella giovane donna e quell’uomo che vuole fare il figo, si sentono estremamente insicuri e utilizzano gli abiti come scudo protettivo per reggere la pressione sociale. Ma come loro anche persone che vestono abiti molto larghi e di colore scuro, di esempi se ne posso fare molti.
“Noi siamo quello che vestiamo ma diventiamo quello che vestiamo”