Perché si è spinti dal desiderio di commentare lo stile degli altri?
L’abito che indossiamo influenza non solo noi stessi, ma anche gli altri. Ne ho parlato spesso anche in altri blog-post e sui mei profili social. E’ normale, ognuno di noi ogni giorno formula un giudizio della persona sconosciuta che ha di fronte, all’incirca impieghiamo sette secondi per scansionare e formulare un parere inconscio dell’altro. Se da una parte è un meccanismo di difesa che abbiamo ereditato dai tempi ancestrali, dall’altro la società moderna ci porta sempre a valutare l’altro, soprattutto per quanto riguarda l’abbigliamento. Ma il passaggio dal giudizio inconscio al pensiero cosciente è un attimo! Alcuni di noi sentono il desiderio di giudicare e talvolta criticare anche alla leggera chi magari ha uno stile diverso dal suo.
Chi di solito fa questo, assumendo un comportamento di critica nei confronti dell’altro, talvolta condita con una dose di cattiveria, cade nell’effetto Dunning-Kruger. E’ una distorsione cognitiva, che colpisce regolarmente soggetti poco esperti o con nessuna competenza per l’argomento trattato. Non riguarda solo la moda, ma anche altri settori. Diciamolo noi italiani, un po’ sapientoni siamo maestri e tuttologi! Le persone che tendono a giudicare l’altro, per il suo abbigliamento, si illudono di avere competenze in merito restando impantanati solo sullo strato superficiale di ciò che vedono, senza considerare gli strati più profondi e davvero importanti. Tutti noi ogni giorno adorniamo e copriamo il nostro corpo con un determinato tipo di abbigliamento, ciascun capo ha un significato ben preciso, facciamo lo stesso con i colori e con la postura del nostro corpo. Siamo ciò che comunichiamo! Alcuni di noi hanno uno stile ben definito frutto di una consapevolezza e autovalutazione attenta e meticolosa, altri sono ancora alla ricerca e giudicare chi non ha ancora trovato sé stesso, basandosi sul nulla, fa la figura dello stupido pur sentendosi competente. I professionisti del settore si formano per anni, in base alla specializzazione scelta, per poter permettersi di entrare nelle storie dei propri clienti, ci vuole sempre una giusta dose di empatia e di ascolto attivo. Le storie sono tutte diverse e in ogni storia c’è sempre una ferita più o meno profonda, ma comunque importante da colmare. Il nostro linguaggio non verbale, racconta agli altri chi siamo e solo chi è un addetto ai lavori riesce a carpire i vari significati. Lo vedo continuamente nelle mie consulenze e nelle storie che ascolto, l’unico denominatore che ci accomuna è sempre lo stesso autostima e di conseguenza l’insicurezza di sé, in questa società dell’approvazione che ci vuole tutti perfetti e perfettamente amalgamati gli uni con gli altri.